China Doll
di David Mamet, regia di Pam MacKinnon, con Al Pacino è Mickey Ross, Christopher Denham è Carson, scene di Derek McLane, luci di Russell H. Champa e costumi di Jess Goldstein
Il momento tanto atteso è arrivato, di nuovo insieme una coppia ormai rodata dello spettacolo statunitense: Al Pacino e David Mamet. Questa volta in uno spettacolo con due attori in scena, con Al Pacino il promettente Christopher Denham affermatosi con il film Argo di Ben Affleck.
David Mamet costruisce una storia che mescola comicità quasi surreale con il cinismo del personaggio, Ross multimilionario quasi a riposo e la subdola presenza di un assistente che vuole imparare troppo in fretta. Il meccanismo non è nuovo, ma Mamet è sempre in sintonia con il suo stile, quello che nel mondo del teatro statunitense chiamano il Mamet speak, uno stile che esalta alcune parole per stimolare il pubblico creando tensione e stati emotivi diversi. Mamet si considera un erede di Harold Pinter e non si può negare che con il drammaturgo britannico condivide l’attenzione per la forza delle parole e gli effetti che genera nel pubblico.
Al Pacino ha dichiarato:
For me over the years the relationship and the collaboration with David Mamet has been one of the richest and most rewarding. We’ve done four projects together and the opportunity to create a new character in the David Mamet canon was an opportunity I couldn’t pass up.
Il personaggio questa volta è un cinico uomo d’affari in pensione che dispensa insegnamenti all’assistente in attesa di risolvere uno stupido, all’apparenza, incidente che impedisce alla giovane fidanzata di raggiungerlo. Ma la storia non è così semplice e il nostro Ross non fa i conti con tutti i personaggi presenti o non che lo circondano.
Al Pacino è grande nel cambiare ritmo, nel definire gesti precisi che descrivono il personaggio oltre le
semplici parole. Sappiamo quando è nervoso, balbetta; quando usa la forza e l’autorità per guidare il discorso, si tira sù il cavallo dei pantaloni; piega la schiena quando subisce sorprese e stupore come se indicasse il peso del colpo che riceve.
Simmetrico nel gesticolare, le braccia spesso aperte quasi ad abbracciare un universo che solo Ross può controllare dall’alto della sua potenza economica. O crede di poter controllare tra un telefono e l’altro. La metafora dell’uomo moderno “always connected” cela però l’impossibilità di avere un quadro completo, ma soprattutto diretto del mondo conoscibile. Come un video game Ross gioca uno scenario di cui non conosce tutte le regole.
Chiusi in una stanza di un albergo di lusso non si può seguire e comprendere il mondo nella sua interezza. Oppure l’esperienza consente di ribaltare le situazioni più disparate?
Il finale rimane aperto.
Andrea Grilli