È una vita che ti aspetto
di Fabio Volo, Mondadori.
Questo autore ha generato molto dibattito, soprattutto tra i lettori forti, quelli che leggono molti libri durante l’anno e in qualche modo temono di essere massificati. In qualche modo credono di essere pochi, eletti e toccati da una particolare fede della cultura. Giudicano spesso e con veloce sciabolate decidono le sorti di un libro o di un altro. Di solito il nuovo perde se confrontato al classico o all’autore decorato secondo dei titoli o standard culturali.
Un autore come Fabio Volo genera non pochi problemi. Posso dire che lo leggo? è nobile leggerlo? Non verrò confuso con la massa informe, un po’ ignorante, che non capisce che bisogna leggere una Munro invece di un banale Tom Clancy?
Eppure questo libro, delicato, leggero all’apparenza, è un bel racconto di un uomo che riscopre se stesso. Che affronta in modo poco banale, un percorso di riscoperta del valore della vita.
Il vero problema è che tutta questa riscoperta non avviene combattendo per la libertà di un popolo, affrontando viaggi lunghissimi pieni di droghe o di una esistenza socialmente selvaggia, ne tanto meno secondo percorsi super intellettuali. No. tutto avviene secondo il quotidiano che c’è intorno a lui, affrontando la banalità della vita.
Un impiegato che vive una vita senza emozioni, senza contenuti. E una mattina scopre che può cercare qualcosa di diverso. E lo fa capendo, forse con frase da libro “trova la verità in dieci mosse”, ma riesce.
Agisce.
Invece di distruggersi, di cadere, compie un percorso positivo. Perché l’altro aspetto di questo
romanzo è la positività del percorso, del vivere. Il personaggio alla fine giunge alla fine di un viaggio per affrontarne un altro. E tutto questo senza drammi, senza perdere qualcosa.
Capisce, cambia, si guarisce. Con la banalità del quotidiano. Eppure in quella banalità, c’è la luce dolce, poco accecante, ma intensa,
calda dell’essere vivo.
E forse questo è difficile accettare per cui vuole soffrire insieme a Kerouac. Un romanzo positivo, solare, sembra quasi una contraddizione in termini. Il romanzo, come forma d’espressione di un sistema economico e sociale, dovrebbe esprimere una profonda incapacità di risolvere la crisi del sistema. Eppure può esserci una alternativa. Un romanzo delicato, leggero, che ci da speranza.
Perché negarcela?
Andrea