Ghost in the shell
[amazon_link asins=’B01N4PTFZ4,B015S4SIQA,B008P7YOSO,B06Y16BB8T,B06Y16HV8K,B01N6SQ1ZM,B00KATPZ3S’ template=’ProductCarousel’ store=’dibbukitls-21′ marketplace=’IT’ link_id=’cead1f00-28d0-11e7-8de4-cb35016e1a6b’]Regia di Rupert Sanders con Scarlett Johansson, Pilou Asbæk, Takeshi Kitano, Juliette Binoche, Michael Pitt, Chin Han, Danusia Samal, Lasarus Ratuere, Yutaka Izumihara, Peter Ferdinando, Anamaria Marinca, Christopher Obi, Joseph Naufahu
Il cyberpunk era uscito dai radar della creatività. Travolti da zombie e apocalissi varie, avevamo dimenticato che il percorso del progresso e dell’innovazione è inevitabile.
Le correnti artistiche, tecnologiche e letterarie che dagli anni Ottanta avevano immaginato un futuro connesso (connected) e collegato (linked) in un grande network ipertestuale che unisce anche le nostre menti con le AI è tornato.
Lo ha fatto forse nel modo meno underground, molto mainstream, ma necessario come un pugno in faccia per ricordarci che anche se le paure che populisti da quattro soldi vogliono installarci dentro, in realtà siamo destinati a un futuro prossimo iper-tecnologico, connesso e combinato tra carne e macchine.
Nel futuro prossimo di Ghost in the shell l’uomo ha perso il confine che consente ancora oggi di capire se siamo qualcosa sopra o sotto a un computer. Siamo tutt’uno.
Gli autori hanno preso dalla cultura underground degli anni Ottanta e Novanta, hanno costruito un universo coerente tra vecchio e nuovo, tra anime, manga, fumetti e film…
Una menzione particolare va a Scarlett Johansson, perfetta interpreta di un essere indefinito e indefinibile. L’attrice cambia movimenti, non è più quel sinuoso componimento di eleganza dei film precedenti.
Scarlett Johansson ha annullato il proprio corpo, trasformandolo in un oggetto cibernetico. Le forme sensuali e carnose degli Avengers spariscono nella rete dei dati e della cibernetiche soluzioni che confondono fisicità e anima.
L’attrice scompare nel silicone della tuta bianca, che trasforma il corpo in una macchina da combattimento vera e non a parole, come spesso si sottolinea nei film d’azione.
Il film riscopre l’estetica cyberpunk degli anni Ottanta, dell’urbanizzazione, dell’uomo proletario e oggetto di un sistema che divora il Ghost. Tutto prima che iniziasse l’ipocrisia dei movimenti bizzarri umanisti e trendy.
Dalle paludi cibernetiche dell’asfalto l’etica riemerge come unico fattore di umanità di esseri umani, ma non fisicamente.
Lo shell può anche scomparire, il Ghost rimane lì a scrutare le coordinate tridimendisionali di un network di cervelli.
Dalle tavole di Masamune Shirow all’anime, da Blade Runner a Matrix, il cyberpunk è di nuovo connesso con il nostro presente.
Comunque per chi non è interessato a tutto questo, può comunque vedere un bel film d’azione, un tocco di mistero e immagine stupende.
Andrea Grilli