Intervista: Simona Vinci
Ho incontrato Simona Vinci nel novembre del 1997, il suo primo romanzo Dei bambini non si sa niente scaldava le pagine letterarie con discussioni più o meno sensate. L’incontro avvenne in un Bar Greco vicino piazza Verdi a Bologna. L’intervista uscì per il settimanale on line www.stradanove.net
Questa intervista viene riproposta con leggere modifiche lì dove la lingua zoppica. Furono toccati due temi, il romanzo appena pubblicato e la letteratura italiana, almeno quella contemporanea del momento. Comunque gli errori sono tutti miei.
Ricordo un certo nervosismo o emozione, ma soprattutto un piacevole incontro.
Andrea Grilli: La storia del romanzo, dei bambini inizia positivamente, c’è una famiglia che lavora, i bambini hanno i loro giochi; poi a un certo punto c’è un baratro progressivo, un incalzare di eventi che porta alla disgrazia. È stata semplicemente una tua scelta all’interno della schema narrativo, oppure anche nella realtà è possibile, secondo te, un processo di questo genere?
Simona Vinci: Non faccio lo psicologo infantile, ho raccontato una storia che va in un certo modo, come una sorta di scoperta, che poi tutti fanno, dell’erotismo tra bambini. Dopo, quello che succede, è che semplicemente entra lo sguardo degli adulti attraverso queste riviste pornografiche. Quindi, penso che sì, possa accadere, è una direzione possibile. Ho cercato di immaginare cosa possa accadere a un ragazzino, tra i 10 e i 15 anni che passa la giornata metà a scuola, l’altra metà fuori casa. Non tutti i bambini hanno le mamme a casa, hanno il dopo scuola, tanti girano.
AG: Di solito nei mezzi di informazione quando si parla dei bambini e di qualcosa di negativo che gli accade, la famiglia è sempre disastrata…
SV: Non sono disastrate, però sono assenti gli adulti. Li ho resi proprio assenti, perché secondo me c’è un grandissimo divario tra il mondo infantile e degli adolescenti e quello degli adulti. Anche quando non sembra. Perché in realtà poi non si discute delle cose vere in casa, si sta in casa davanti alla televisione, magari si parla, comunque sempre in modo edulcorato. C’è sempre questa visione della infanzia e della adolescenza così un po’ pulitina che non corrisponde a quello che sono.
AG: Quello che mi ha colpito nel romanzo è la mancanza di dialogo dei figli con i genitori.
SV: Li ho voluti eliminare proprio perché a me interessava raccontare della fatalità dell’esistenza, una metafora, del fatto che le cose accadono e non sai bene perché. Però volevo uno sguardo neutro, nel senso che di uno sguardo che non desse giudizi, ed è lo sguardo di questi ragazzini. Se avessi inserito degli sguardi, delle voci di adulti, avrei dovuto dare giudizi in negativo o in positivo.
AG: L’assenza di giudizio, narrare.
SV: Sì, narrare e basta.
AG: C’è l’assenza dell’adulto che porta al peccato, è un bambino più grande (NB. Mirko) quello che conduce gli altri personaggi a un certo tipo di esperienza.
SV: Anche il personaggio di Mirko, che porta queste riviste pornografiche e inserisce dei giochi sempre più violenti, è in realtà una vittima. A me è stato rimproverato che un ragazzo di quindici anni non va a scegliere come compagni di giochi delle bambine di dieci, questo non è vero, perché lui è un ragazzo ovviamente disturbato, viene detto nel romanzo. Martina lo guarda e si domanda perché. Per lui più che una esperienza di erotismo, è di potere. Non può esercitarlo a scuola, sulla famiglia, sulle ragazze della sua età, ma su quei bambini più piccoli, a cui può far fare quello che vuole. Quindi è un esercizio di potere.
AG: Mi è sembrato che anche l’ambiente geografico descritto nel romanzo, di Budrio, Granarolo, sia importante.
SV: Abito lì. Sono luoghi che amo molto e che trovo molto inquietanti. È strana l’Emilia, c’è questo passaggio continuo tra città e campagna una dietro l’altra. Per me è molto importante il rapporto con il paesaggio. Ho trovato una grande assonanza tra questo tipo paesaggio, come l’ho descritto, e quello dei narratori dell’america del sud, come Flannery O’Connor, Faulkner. Comunque c’è questa idea della campagna soffocante, dove accadono le cose in modo lento, strano, che non si capiscono molto.
AG: Questo aspetto di Budrio e di altri paesi come hinterland bolognese, si può collegare alla descrizione che fa Carlo Lucarelli nel suo ultimo romanzo, Almost Blue, di Bologna come una metropoli che va da Reggio Emilia alla costa romagnola?
SV: È così. L’Emilia è una cosa strana, per questo dico che in qualche modo rassomiglia all’america: grandi spazi. Questa è una regione caratterizzata dalla mobilità, la gente lavora in una città, però vive in un’altra.
AG: Un’ultima domanda: perché gli adulti non sanno niente dei bambini?
SV: Perché non li guardano. Non li guardano con gli occhi limpidi, guardano con l’idea che hanno dei bambini. Hanno già un’ idea di come i bambini dovrebbero essere, quindi non li vedono.
Andrea Grilli: Con l’antologia Gioventù Cannibale si è generato uno scontro tra coloro che considerano fonte degli scrittori gli autori classici, lo scrittore italiano deve passare per dei passaggi obbligati di fonti letterarie altrimenti non è uno scrittore. I nuovi invece hanno fonti letterarie completamente diverse, come la pubblicità, la musica, i fumetti, un certo tipo di cinema. Anche tu fai parte di questi scrittori?
SV: Faccio parte di una generazione che è cresciuta ascoltando la stessa musica, guardando la stessa TV, anch’io ho una impostazione di questo tipo. Però poi ho fatto studi classici, mi sto laureando in lettere. A me è stato rimproverato, sinceramente mi fa molto ridere, da Luca Canali di non aver letto il Satyricon, se lo avessi letto avrei scritto un altro romanzo. In realtà l’ho letto e lo so tradurre alla perfezione, perché ho fatto un esame su questo. Puoi aver presente la tradizione, ma decidere che la tua scrittura va in un’altra direzione, ma non è vero che non conserva gli echi di tutto quello che hai studiato, che sta dietro di te. A me non pare, mi pare in realtà di avere una scrittura molto classica.
AG:…
SV: Non ho padri, non ho una scrittura che si può dire rassomiglia a questo scrittore o a un altro.
AG: Forse è la cosa migliore, penso per uno scrittore.
SV: Però è più difficile inquadrarti. Non sanno dove metterti. Qualcuno mi ha detto “gergo giovanilistico”, altri che sono “di maniera”, mi sembrano due cose che cozzano. Si vede che non sanno dove mettermi.
AG: Secondo te il fatto che la critica letteraria abbia attaccato altri scrittori precedenti alla tua pubblicazione, vuol dire che non riescono a capire le fonti di ispirazione, non riescono a ricondurre le storie, le immagini a un precedente letterario conosciuto?
SV: Non credo sia solo per questo. Sì, non riescono a capire questa violenza che c’è dentro questa narrativa. Che poi fra l’altro è tutta diversa, perché non si può paragonare Fois ad Ammaniti. Fois è comunque uno scrittore classico, con una scrittura limpida, Ammaniti è un narratore di storie roboanti. Tutti diversi. Secondo me è il fatto che la letteratura italiana si sta svegliando da due decenni di noia infinita. Perché ci sono stati dei narratori pallosi, minimalisti, pscologici, che hanno raccontato storie di una generazione, che a noi, non ci assomiglia più.
Il barista porta un caffè greco per Simona e un cappuccino per me.
SV: (sorridendo) mi sono persa…
AG: Parlavi dei due decenni di noia della letteratura.
SV: Infatti si sta svegliando e il pubblico risponde bene, perché evidentemente i gusti del pubblico, condizionati probabilmente anche dalla televisione e dal cinema, sono più grossolani. Forse la gente ha voglia di sentire delle storie.
AG: Forse questi scrittori sono in sintonia con i lettori.
SV: sì, perché raccontano delle storie, cosa che negli ultimi vent’anni non è accaduto. Romanzi, anche di scrittori bravissimi, che non ti raccontano nulla, vai nell’ultima pagina e non accade niente. Già la vita è un tedio mortale.
AG: Einaudi quando ha presentato la nuova sede della agenzia Einaudi a Bologna ha parlato molto bene della collana Stile Libero, come ti senti in una collana dove c’è di tutto, da Cooper ad Ammaniti e Albertino?
SV: Mi sento bene, nel senso che ogni romanzo e ogni scrittore hanno una storia a sé. Non credo o non so se rimarrò in Stile Libero. A me fa piacere che questa collana sia facile, che costa poco. Chi entra in libreria e trova un libro di un esordiente che semmai costa 30,000 lire, dice “ma questo qua chi è?”, lo rimette a posto. Invece 13,000 lire anche se non lo conosci, lo compri. E poi una collana innovativa, mette insieme la tradizione di una casa editrice che ha sempre portato il nuovo in Italia.
AG: Quello che poi diceva Einaudi.
SV: È comunque una casa editrice che non si è normalizzata, continua a esplorare.
AG: L’ultima domanda. Gli scrittori di ultima generazione sono in parte emiliano-romagnoli, oppure di altre regioni che sono passati per questa città e si sono fermati. Questa “città” riesce a stimolare delle immagini, delle storie che poi si vuole scrivere, oppure è qualcosa che qualcuno ha dentro ed è tutto una casualità?
SV: È tutta e due le cose. Da un lato è una casualità, perché io mi sento uno scrittore e mi sarei sentita così da per tutto. Certo che è una zona fertile, a parte la città universitaria. C’è passaggio di teatro, musica, c’è sperimentazione.
AG: Tu sei emiliana?
SV: No, sono milanese. Ma ho molto toscano.
Andrea Grilli
…per andare da casa mia a Bologna mi piace fare la strada che passa per Granarolo. Luoghi familiari, nei quali ho visto girare un sacco di bambini e di adolescenti.
Questo brano fa parte della dedica della giovane autrice, nata nel 1970, di Budrio in provincia di Bologna e leggendo il libro si coglie una capacità di osservazione tale da riuscire a far immaginare la campagna bolognese al lettore anche estraneo all’Emilia.
Il tema del romanzo è molto forte, violenze tra minori, e forte è anche il modo con cui viene trattato. Una lenta progressione di eventi che portano a una fine inevitabile. Non c’è spazio per l’innocenza quando gli adulti, e si può essere adulti anche a giovane età, vogliono giocare con i bambini. Un pugno allo stomaco portato con precisione. Un libro scomodo per molti, che ha già sollevato critiche, ma che in realtà si rivela un buona prova di partenza per una esordiente. Si sa che la difficoltà maggiore per un giovane scrittore è scriverne un secondo che faccio dimenticare il primo.
Nota: ha scritto più di un “secondo libro”… 🙂