Jiro Taniguchi e la via della linea
Jiro Taniguchi (1947-2017) è considerato uno degli autori più importanti del Giappone e in alcuni stati europei, come la Francia, è considerato così rilevante il suo contributo culturale da riconoscergli onorificenze di grande valore, come quella di Cavaliere dell’Ordre des Arts e des Lettres, ricevuta dalla Francia nel 2011.
Dopo aver approfondito lo studio dei fumetti europei, soprattutto francesi, è riuscito ad affermarsi a livello mondiale superando quegli elementi che caratterizzano una scuola, nello specifico quella giapponese, per divenire un autore mondiale.
Oggi siamo ammirati ed emotivamente coinvolti dalle sue opere, soprattutto quelle dove la ricerca di una linea essenziale, di una trama riccamente drappeggiata sulla tavola, di un affrescare emotività umane e naturali ci consentono di superare i banali confini delle scuole di fumetto; dalla francese alla statunitense per arrivare a proprio quella che avrebbe dovuto essere un riferimento per Jiro Taniguchi, ma che dalla quale non si è mai sentito parte integrante per la difficoltà di trovare una posizione tra underground e mainstream.
Quelle sottile linee, chiare, che danzano sulle sue tavole, non sono un improvviso intuito, o un accadimento. Sono il frutto di una maturazione stilistica che dalle origini, per ogni linea, per ogni passo cambia la propria natura.
Jiro Taniguchi pubblica i primi lavori nel finire degli anni settanta lavorando subito con Natsuo Sekikawa e Caribu Marley. I lavori di questi anni sono preparatori alla maturazione stilistica dell’autore, non tanto sul lavoro grafico spesso modificato in relazione al tipo di narrazione e di contenuto del manga stesso, quanto sui temi che l’autore preferisce trattare autonomamente.
Degli anni ottanta possiamo prendere a riferimento Blue Fighter, un manga violento dedicato al mondo della boxe, ma l’elemento che più rilevante è la linea sporca, la tavola travolta dal nero, come se una boccetta di inchiostro fosse caduta sulle tavole. E negli anni successivi il maestro Taniguchi prosegue in questa modalità con Tokyo Killers anche se la linea diventa più ordinata e il grigio, quel luogo incerto di passaggio, comincia a conquistare spazio. Ma anche in Blanca, dove comincia a prendere fiato il Taniguchi naturista, quello che con Seton racconta la scoperta della natura da parte dell’uomo moderno, spesso l’autore ha bisogno di molti tocchi e oscurità per raccontarci la storia.
Però mentre realizza queste opere, ha iniziato uno sviluppo parallelo, qualcosa che farà dire al curatore dell’edizione francese dell’Uomo della tundra: “Cette évocation du Japon à l’orée du XX° siècle, à nouveau réalisée avec Sekikawa, met le dessinateur sur la voie d’un style graphique plus épuré et d’un mode de récit fondé sur le quotidien.”
Si parla di Ai tempi di Bocchan, lavoro in cinque volumi, dieci nella prima edizione italiana, che racconta il quotidiano dello scrittore Natsume Soseki.
Taniguchi lavora nove anni su quest’opera, nel frattempo realizza L’Uomo che cammina (1990-1991), Benkei a New York (1991-1995), Il libro del vento (1992), Allevare un cane (1991-1992) e così via fino Al tempo di papà e Gourmet.
Jiro Taniguchi costruisce un framework creativo e su questo elabora, matura una particolare “vista” del raccontare, che richiede una linea sempre più leggera, una maggiore assenza di ingombri e l’esigenza di dare evidenza del silenzio, della pausa come se fosse uno spartito dove è scritta una musica che necessita del silenzio per esaltare le poche note scritte. Senza per questo rinunciare al dettaglio, chiamiamolo fraseggio, del suonare la musica del disegno.
Le opere successive hanno un disegno sempre più leggero, chiaro, quasi l’autore voglia cogliere più i pensieri o i sentimenti dei personaggi. Opere come Un cielo radioso oppure Uno zoo d’inverno fino a Furari dove sembra quasi proseguire il lavoro iniziato con Ai tempi di Bocchan, ci trasmettono l’esigenza di inserire un tocco di magia che sembra caratterizzare la produzione degli ultimi anni. Anche un’opera come I guardiani del Louvre o Un anno primavera riflettono un punto di vista particolare, la vita è magica, anche nelle sue particolarità come l’arte o lo stato di ritardo nella crescita di una bambina che, grazie alla sua dolcezza, esalta la bellezza del creato.
Questo nuovo percorso narrativo spinge Taniguchi ad abbracciare il colore proprio in queste opere e ne La montagna magica e infine l’opera che in qualche modo si può definire il suo testamento, La foresta millenaria, edito in Italia da Oblomov.
Questa ultima opera racchiude e sintetizza sia l’attenzione a una linea leggera, ma anche a un dettaglio che deve essere specifico con il tema della tavola stessa, come se la sintesi non sia semplificare ma focalizzare.
Un’opera dove il colore e la linea si fondono in un unico atto creativo, come se quel viaggio iniziato negli anni settanta, fatto di neri e linee pesanti, compresse, fatte di azione e storie di fiction, hanno raggiunto uno stadio evolutivo, un percorso di trascendenza verso uno stato emotivo e spirituale che si traduce sur la voie d’un style graphique plus épuré.
Andrea Grilli