L’ebreo di New York
di Ben Katchor
Nel 1830 Mordecai Noah cercò di fondare uno stato ebraico a Buffalo. Noah era nato a Philadelphia nel 1785, giornalista, diplomatico, saggista, riteneva che gli indiani d’America fossero una delle dodici tribù d’Israele. Ben Katchor è nato a Brooklyn nel 1951. Opera sia nel mondo del fumetto che teatrale, con le scene dell’opera teatrale The Carbon Copy Building, insignita dell’Obie Award come “miglior nuova produzione 1999-2000”. Le sue opere fumettistiche sono pubblicate a puntate sui maggiori giornali statunitensi. Di particolare interesse è il blog grafico curato sulla rivista on line Slate (http://www.slate.com/id/3733/entry/24714/) nel 1997.
Nel 1998 per i tipi della Bantam Books esce questo fumetto, L’ebreo di New York, che la Mondadori ha proposto nella traduzione di Daniele Brolli. Si tratta di una intreccio di personaggi ebrei sullo sfondo degli Stati Uniti della metà del 1800. Personaggi di varia natura, di professioni diverse, che tessono una serie di racconti che si ricollegano alle teorie di Mordecai Noah sugli Indiani d’America.
La storia centrale è quella di un uomo Nusin Khison che vive per quasi cinque anni con un cacciatore di pelli, che poi si scoprirà anche lui essere ebreo. L’uomo tornato a New York viene confuso per un indiano che parla in ebraico e si esibisce in un teatro della città. Questa presenza di indiani che sembrano essere di origine ebraica genera l’attenzione di molti ebrei newyorchesi, commercianti, linguisti, inviati dalla comunità ebraica tedesca. Ma in questo intreccio si presenta anche un uomo, Francis Oriole, che vuole trasformare in acqua frizzante il lago Erie e cerca finanziatori, tra i quali troviamo un nunzio palestinese che porta con sè un sacco di terra santa. Nel frattempo l’inviato della comunità ebraica tedesca, vestito da sub, legge brani di un libro dove si sostiene l’origine ebraica degli indiani d’America.
Confusi? Beh la storia è questo intreccio incredibile di racconti, flashback, incontri di uomini che sono sempre dinamici, attivi, pronti a fare qualcosa, perché infondo gli USA sono una terra di opportunità, a volte legali a volte no. Ben Katchor ripercorre così, secondo un sentiero tortuoso, ma avvincente, le speranze di uomini che cercavano una terra nuova dove prosperare senza progrom, dove si potesse più pensare a una vita tranquilla fatta di sacrifici, piuttosto che morte e distruzione.
Ben Katchor ha dichiarato sulla rivista on line The New Jersey Jewish News di non sentirsi legato al mondo ebraico, con la cultura ebraica ha una relazione storica: “For me, Jewish culture is a piece of history rather than part of the modern world I live in.” Questa sensibilità storica appare ben chiara ne L’ebreo di New York, dove gli intrecci storici, spesso parziali e insignificanti nel contesto generale della Storia degli Stati Uniti, insaporiscono però le tavole e ci mostrano quella storia degli uomini comuni, che poi sono loro a fare realmente la storia della società civile.
Lo stile di Ben Katchor è “in miniatura”, le vignette sembrano fotogrammi di un film, che racconta le vicende solo dei personaggi comprimari, quelli di cui non si ricorda mai il nome. È significativo il suo stile, gli spazi sono occupati da linee nere ben impresse nel foglio che determinano le figure su un piano bidimensionale, un bianco e nero piatto, se non che, come nello stile dei primi anni sessanta, una serie di pennellate o macchie d’acquarello danno tridimensionalità alle figure. Ben Katchor ha la particolarità di lavorare per i quotidiani statunitensi proponendo uno stile che tutto ha tranne una proposta grafica semplice e lineare. L’occhio del lettore si educa a leggere gli effetti di pienezza e sfumatura tipica del fresh painting danno il senso di non trovarsi di fronte a una banale rappresentazione di una storia. D’altra parte proprio Ben Katchor, sempre nell’intervista al The New Jersey Jewish News, spiega che “images are a corrective to the text, and the text is a corrective to the image. When you deal with one alone, there’s room for misconceptions”. Questa consapevolezza autoriale si riflette nella lettura de L’ebreo di New York, un fumetto non facile da leggere, dai cambi di ambientazione, ma soprattutto dei personaggi, tantissimi, che ruotano senza sosta e che generano un cambio di registro nella fitta trama creata da Ben Katchor. Ma soprattutto l’aspetto più bizzarro dell’autore newyorchese che, anche se sembra negare la sua ebraicità, se ne appropria proprio nel suo aspetto più vivo, quello storico, quello mnemonico.
Andrea Grilli