Milan Kundera, Un occidente prigioniero
Un occidente prigioniero di Milan Kundera, Adelphi, 2022, traduzione di Giorgio Pinotti, premesse di Jacques Rupnik e Pierre Nora.
La recente invasione russa della Ucraina ha riaperto il tema, forse mai risolto, del ruolo dei popoli che per geografia e storia, dividono il perimetro occidentale europeo con quello russo.
Nel 1967, durante il congresso dell’Unione degli scrittori, Milan Kundera tiene un discorso estremamente coraggioso dove prende le distanze dal potete filo-sovietico e definisce il ruolo fondamentale della cultura ceca e dei suoi intellettuali.
La sopravvivenza di un popolo dipende dalla forza dei suoi valori culturali. Il che esige il rifiuto di qualsiasi interferenza da parte dei vandali, gli ideologi del regime.
Gli ideologi sono i fantocci insediati dai sovietici. Ancora una volta si consuma il rifiuto della prepotenza dei russi, qualsiasi sia la loro ideologia. L’anno dopo ci sarà la Primavera di Praga quando il Patto di Varsavia tenta di cancellare il cambiamento culturale che ormai da anni è vivo nella società ceca, ma che inevitabilmente è collegato al fermento che attraversa le nazioni occidentali ed europee.
La letteratura e le piccole nazioni
Nel primo discorso La letteratura e le piccole nazioni l’autore afferma che “è cruciale che l’intera società ceca sia pienamente consapevole del ruolo essenziale che svolgono la cultura e letteratura.”
Siamo negli anni in cui ci la cultura ceca si esprime attraverso grandi artisti come Hrabal, Topol, Havel, Forman, Menzer e tanti altri operano anche fuori dalla Cecoslovacchia e spingendo Kundera a definire gli anni Sessae l’età d’oro della cultura ceca.
In questo intervento Milan Kundera si concentra sul valore della cultura, anche delle piccole nazioni, il ruolo che ha la cultura come vettore del pensiero libero, dove anche posizioni diverse si confrontano e la rinascita del popolo ceco.
Kundera è consapevole che si tratta di un piccolo popolo, ma come tutti, ha qualcosa da dire al Mondo. E non è poco.
Un occidente prigioniero
Nel 1983 lo scrittore ceco torna sul tema del rapporto tra Occidente e Russia. L’autore non manca un certo tono melodrammatico a cui abbiamo assistito anche in questo periodo sul pericolo russo.
Kundera ricorda la frase che pubblicò il direttore dell’agenzia di stampa ungherese poco prima che i sovietici entrassero a Budapest: Moriremo per l’Ungheria e l’Europa. Ma senza dubbio questa frase aiuta anche a comprendere la consapevolezza e l’attenzione che dovremmo avere su un territorio e su popoli che spesso sfuggono al radar della nostra attenzione perché sovrapposti dalla cultura russa.
Kundera ricorda lo storico Palacky che sostenne l’importanza dell’Impero Asburgico, come unico baluardo contro la Russia. In realtà oggi è proprio quella consapevolezza che maturò dall’Ottocentro ad oggi, a costruire una ricca presenza culturale in Europa Orientale, proprio a contenere la violenta espansione dei russi.
Kundera sintetizza con l’espressione “il massimo della diversità nel minimo spazio” il ruolo delle nazioni orientali in Europa, contrapposto all’approccio russo della minima diversità nel massimo spazio.
Milan Kundera riflette sulla identità dell’Europa che non vuol dire essere quella occidentale, ma diverse che ora devono riconoscersi, darsi il giusto spazio. Considerando l’ingombrante elefante russo, ma forse anche l’ippotatamo statunitense.
Note su Milan Kundera
L’edizione della Adelphi è arricchita con due premesse che consentono di comprendere il contesto e il ruolo di Milan Kundera in Europa. Le opere di Kundera sono pubblicate nel catalogo Adelphi.