Quel che resta di Auschwitz
Giorgio Agamben “Quel che resta di Auschwitz”, 165 pagg., Bollati Boringhieri, £. 24.000
L’autore approfondisce con questo libretto piccolo, ma denso di contenuti, non le modalità dello sterminio perpetrato dai Nazisti nei confronti degli Ebrei: la Shoa; bensì la sua analisi si muove su ben altri binari: «il significato etico e politico dello sterminio, o anche soltanto la comprensione umana di ciò che è avvenuto – cioè, in ultima analisi, la sua attualità».
Il libro è diviso in quattro capitoli che esplorano le figure del testimone e del “musulmano”. Quest’ultimo è stato oggetto di molte riflessioni, perché lo stato, quello proprio del “musulmano”, di in cui cadeva l’internato nei Lager, lo isolava dal resto degli internati e lo faceva cadere in una prostrazione psicologica e fisica che lo portava alla morte.
Pochi sono i “musulmani” che sono riusciti ad uscirne e ritornare uomini. Uno dei problemi che pone Agamben è la figura del testimone per questo stato dell’internato, perché chi è morto non può più testimoniare e chi ne è uscito non può che raccontare ciò che non è più.
Uno dei problemi di questo libro è l’eccessiva filosofizzazione delle tematiche affrontate, soprattutto la parte dedicata alla vergogna. A questo sentimento che i prigionieri dei Lager provavano di fronte alle truppe alleate, quando entrarono nei Lager, o di fronte ai loro aguzzini, viene dedicato una ampia parte del saggio.
Senza una attenta lettura di questo libro può sembrare strano come persone che sono state appena salvate possano provare vergogna per uno stato fisico e mentale, non prodotto per loro volontà o colpa, ma da terzi.
Eppure Primo Levi nella Tregua descrive proprio la vergogna che provò quando le truppe sovietiche entrarono nel lager.
Agamben si documenta molto bene, ma dedica troppo spazio alla documentazione perdendo troppo spesso la centralità del tema etico della Shoà e dando per scontato la comprensione dei passaggi logici per i quali arriva a delle conclusioni interessanti, ma poco spiegate.
Comunque questo libro è molto utile per iniziare un dibattito sulla testimonianza che spinse uomini come Primo Levi a scrivere per testimoniare.
Levi scrisse: Sono in pace con me perché ho testimoniato
Perché con la testimonianza la Shoà non andrà dimenticata e soprattutto non verrà mistificata o falsata dai neonazisti e dai revisionisti.
Andrea Grilli