La shoà e gli X-Men
Quando parliamo di fumetto e Shoà siamo abituati a pensare a Maus di Art Spiegelman oppure più recentemente a Yossel di Joe Kubert o Sono figlia dell’olocausto di Bernice Eisenstein. Eppure dagli sessanta esce mensilmente nelle edicole statunitensi una serie a fumetti che è fortemente caratterizzata dal tema della Shoà. The Uncanny X-Men (settembre 1963) di Stan Lee e Jack Kirby. Entrambi gli autori erano famosi al pubblico per aver creato personaggi come L’uomo ragno, Capitan America e tanti altri, ma tutti questi supereroi erano uomini che avevano acquisito i loro poteri a causa di incidenti, esperimenti scientifici. Anche il Batman della DC Comics non era altro che un eccentrico miliardario che combatteva il crimine.
Ma gli X-Men cambiarono radicalmente la percezione dei supereroi nel mondo dei fumetti. I loro poteri sono genetici, cioè questi uomini nascono con i superpoteri, quasi un popolo eletto. Possono leggere nel pensiero, trasformarsi in acciaio, volare con proprie ali, autocurarsi, lanciare raggi gamma dagli occhi. Proprio nel primo episodio della seria, settembre 1963, esordisce anche quello che sarà poi il nemico numero uno, la nemesi, lo specchio dell’ideale che unirà gli X-Men. Questi mutanti sono uniti dall’ideale di un telepate, Charles Xavier, di una convivenza civile tra uomini comuni e mutanti. Dall’altra parte Magneto un uomo con profonde ferite.
Stan Lee, ovvero Stan Lee Lieber nato da una famiglia di ebrei rumeni, così spiega il suo personaggio: “Non ho immaginato Magneto come un cattivo ragazzo. Voleva solo rispondere a quella gente che era così bigotta e razzista… Cercava di difendere i mutanti e poiché la società non li trattava bene, voleva dargli una lezione. Era naturalmente uno pericoloso… ma non ho mai pensato che fosse un villain.”
Lo schema che sarà alla base della serie degli X-Men è impostato. Gli umani temono la diversità dei mutanti, li odiano, come precedentemente avevano odiato gli ebrei o gli zingari. Ma gli X-Men non decollano e la testata rimane a languire finché Chris Claremont non viene assunto alla Marvel Comics. Chris aveva trascorso alcuni mesi in un kibbutz dove aveva incontrato sopravvissuti dei lager nazisti, dove di notte i soldati del Tzahal montavano la guardia e gli caccia con la stella di Davide volavano verso la Giordania per difendere Israele.
Chris Claremont impone un ritmo diverso alla saga degli X-Men trasformandola in una delle serie fumettistiche più lette al mondo e ritenuta, a torto o a ragione, un capolavoro assoluto di discussione e narrazione sul tema della diversità e del diritto di difendersi. Con la sua penna di sceneggiatore Magneto scopre le sue carte. Fino al numero 12 della serie Classic X-Men, pubblicata in Italia dalla Star Comics nel mensile Gli Incredibili X-Men. Magneto è un sopravvissuto di Auschwitz, il suo nome forse è Max Eisenhardt, ed è anche un padre che ha perso la figlia uccisa dall’odio del potere sovietico.
Così nasce un personaggio che non può fidarsi degli uomini, che, come racconta Stan Lee, vuole difendere il suo popolo, ora i mutanti oggetto dell’odio razziale. Nei decenni che seguiranno questo personaggio guiderà anche gli X-Men cercando nuove vie per realizzare i propri obiettivi. Magneto rimane comunque un personaggio tra i più amati dai lettori di fumetti, diciassettesimo nella classifica dei cattivi più amati. Ma al di fuori degli schemi del villain, cioè del cattivo che il supereroe di turno deve sconfiggere, Max Eisenhardt è caratterizzato da una forte senso degli ideali e da un obiettivo che nessuno potrebbe contestare: difendere un popolo.
Anche Chris Claremont ha speso un commento su questo personaggio così controverso: “Una volta che trovai il punto di partenza per Magneto (come vittima dell’Olocausto), tutto il resto andò al suo posto, perché mi permetteva di trasformarlo in una figura tragica che vuole salvare il suo Popolo… quindi ho avuto l’opportunità… di tentare di redimerlo… di vedere… se si poteva evolvere nello stesso modo in cui Menachem Begin si trasformò da il ragazzo che i britannici consideravano “shoot on sight” nel 1945… in uno statista che vinse il Premio Nobel per la Pace nel 1976.”
Sono questi commenti che mostrano quanto la Shoà sia un tema molto presente nella saga degli X-Men, forse sottovaluto e troppo spesso inserito in un contesto generico di trattazione del tema della “diversità”. Mentre appare evidente che gli autori da Stan Lee a Chris Claremont hanno posto la Shoà come un faro che illumina moralmente le scelte e la vita dei loro personaggi, perché direttamente coinvolti. E non solo per aver reso l’avversario principale dei mutanti un sopravvissuto di Auschwitz, ma anche per altri personaggi come Kitty Pride, giovane mutante che nell’episodio 199 de The Uncanny X-Men (gennaio 1985) partecipa a un incontro del National Holocaust Museum di New York per cercare la sorella del nonno.
Sono qui per mio nonno, Samuel Prydeman. Avrebbe voluto essere qui più di ogni altra cosa, ma è morto l’anno scorso. Aveva una sorella, la mia prozia Chava. Viveva a Varsavia prima della guerra.
Andrea Grilli