Sono figlia dell’olocausto
di Bernice Eisenstein – Guanda
Durante una Fiera del Libro di Torino mi sono fermato presso lo stand della Giuntina. Così navigando tra le pagine dei libri, mi è stato consigliato di leggere un libro di Lizzie Doron, una autrice che potremmo definire della seconda generazione dei narratori della Shoà.
Questa considerazione mi ha fatto riflettere sul fatto che nel mondo del fumetto non è mai esistita una prima generazione di narratori. Chi è sopravvissuto ha usato il metodo della scrittura, della parola ferma su un foglio, per memorizzare e raccontare quanto aveva vissuto. Il mondo del fumetto era al di là dell’oceano, per assurdo rinnovato e sviluppato da editori e fumettisti ebrei, ma nessuno dei quali era “sopravvissuto”, era una parte di un qualcosa perso. Così i padri della memoria come Primo Levi o Elie Wiesel si esprimono con la parola e non con il disegno.
Sarà poi Art Spiegelman a dare il via alla memoria disegnata per conto terzi, per conto del padre. Oppure Joe Kubert ipotizzerà la vita che avrebbe potuto vivere in Polonia, ma sono orecchie di testimonianze, mani che raccolgono le parole del ricordo e le conservano in un vaso nuovo, forse più vicino al nuovo modo di esprimersi dei nostri ultimi decenni.
Un tema nuovo inoltre si inseriva in questa memoria, il tema di esseri figli o nipoti di sopravvissuti. Cosa vuol dire vivere affianco a uomini e donne che portano, ne portaron
o ne porteranno, ma con un pesante indicativo portano con tutto il peso e la fatica psicologica che ne consegue, la memoria della Shoà?
Berice Eisenstein ha scritto e disegnato un libro raccontando la sua vita di figlia di due deportati. Non abbiamo però il racconto della esperienza dei genitori, ma la sua esperienza nella famiglia, nelle emozioni, nei legami e sentimenti che ogni suo parente ha tessuto con lei. Vuol dire inevitabilmente definire luoghi, istanti della propria identità che non potranno essere paragonabili ad altri.
La memoria collettiva di una generazione parla, e io sono obbligata ad ascoltare, a vederne gli orrori, a sentirne l’offesa.
Andrea Grilli